A una prima impressione, omnicanalità e opticanalità potrebbero sembrare due argomenti in antitesi. In realtà, si tratta di due approcci che si integrano alla perfezione. L’omnicanalità permette, infatti, di definire un flusso comunicativo trasversale e coerente che coinvolge tutti i touchpoint a disposizione. L’opticanalità va in profondità, ottimizzando le prestazioni dei canali più performanti. Scopriamo come l’uso integrato di queste due strategie permette di ottimizzare al massimo le risorse a disposizione.
Per le loro caratteristiche, omnicanalità e opticanalità sono evoluzioni della multicanalità. Quest’ultima strategia si basa sulla moltiplicazione dei touchpoint, trattando i canali in maniera indipendente gli uni dagli altri. In questo modo, presta il fianco a una possibile incoerenza della comunicazione tra i diversi canali. Se, infatti, non c'è un coordinamento efficace tra i touchpoint, il pubblico potrebbe ricevere informazioni discordanti o divergenti, perdendo, così, fiducia nel brand.L’omnicanalità serve proprio per evitare che ciò avvenga, attraverso l’integrazione dei diversi canali a disposizione per creare un’esperienza coerente. Ogni interazione da parte del cliente deve, quindi, inserirsi in un percorso ben definito e in cui i valori del brand siano sempre riconoscibili.
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Il termine optichannel nasce dalla contrazione dell’espressione “optimal channel”, che significa appunto “canale ottimale”. Vuol dire concentrarsi sui canali che hanno la maggior efficacia.La continua moltiplicazione dei media digitali e la crescente segmentazione del pubblico impongono ai brand un uso attento delle risorse. Ne consegue la necessità di focalizzarsi solo su alcuni canali, in modo da ottimizzare l’investimento.La selezione dei canali da presidiare deve, però, essere accompagnata dall’intento di costruire un’esperienza coerente per l’utente attraverso tutti i canali scelti, pochi o tanti che siano. Per questo, riteniamo che opticanalità e omnicanalità non siano in antitesi, ma possano andare a braccetto.
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La differenza tra opticanalità e omnicanalità, insomma, non è solo questione di una consonante, ma di approccio.
Il filo rosso che lega omnicanalità e opticanalità è l’analisi dei dati dei clienti, dei loro comportamenti e delle preferenze per ciascun canale.
In questo ragionamento va compreso anche lo spazio fisico dove viene svolta la vendita o dove si organizzano degli eventi, come fiere e roadshow. Infatti, anche questi sono touchpoint significativi per un brand. A maggior ragione oggi che abbiamo a disposizione numerosi strumenti per ricavare dei dati dall’esperienza fisica, facendo dialogare mondo digitale e reale grazie a strumenti come IoT (Internet of the things) e intelligenza artificiale. Siamo, in fondo, nell’era del phygital: fisico e digitale si uniscono per creare una customer experience unica, combinando elementi reali, digitali e virtuali.
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I dati sono gli strumenti che permettono di capire quali sono i canali ottimali per un brand. Da tempo sottolineiamo quanto sia fondamentale adottare un approccio data-driven nelle scelte strategiche. La convergenza al digitale di tutte le forme di comunicazione permette, infatti, di avere una mole di dati interessanti. Possiamo sapere non solo quante persone hanno cliccato su un link presente su un sito, ma anche la loro provenienza geografica e il tipo di dispositivo in uso.
Si tratta, poi, di leggere, interpretare e capire i dati, non solo di raccoglierli. Le informazioni, analizzate da esperti, si rivelano risorse fondamentali per capire come raggiungere il target. In base alle reaction degli utenti e al loro tasso di coinvolgimento (anche l’engagement è misurabile), si riescono a estrarre molti spunti utili. Innanzitutto quali touchpoint usare, ma anche, in base alla propensione al consumo del nostro target, in quali momenti della settimana o della giornata conviene pubblicare dei contenuti.
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Il mercato è un’entità in continua evoluzione. Per questo, si possono riscontrare dei cambiamenti nei comportamenti del pubblico anche nell’arco di pochi mesi. Ciò è dovuto a innumerevoli variabili che entrano in gioco. Una delle più evidenti è la stagionalità. In certi periodi dell’anno, spesso in concomitanza con feste e ferie, vi possono essere cali vistosi o vertiginosi aumenti di traffico a seconda del tipo di attività svolta dal brand.I fattori che possono influenzare l’andamento delle campagne sono, però, molteplici: da una particolare offerta della concorrenza a una modifica negli algoritmi di Meta o di Google. Ecco perché è fondamentale prevedere un costante monitoraggio delle campagne e, a monte, definire i giusti KPI (key performance indicator), ovvero i parametri fondamentali per la gestione e il controllo delle performance aziendali. Ad esempio, nelle campagne di lead generation su un sito è molto importante sapere quante persone cliccano sui tasti “mail to” e quelle che compilano i contact form.
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In definitiva, quello tra omnicanalità e opticanalità è un rapporto di armoniosa coesistenza.
L’approccio omnicanale è fondamentale per mettere il cliente al centro del processo comunicativo del brand e per architettare un’esperienza coerente attraverso i diversi touchpoint. Questo ci porta a ragionare in modo olistico, mentre l’approccio opticanale ci aiuta a concentrarci sugli obiettivi da raggiungere e prendere, così, delle scelte difficili. È come se fosse una lente d’ingrandimento che ci permette di focalizzarci su ogni singolo canale, ottimizzandolo. Ciò vale sia per la grande azienda che deve essere presente ovunque (in alcuni casi è così), sia per la Pmi che, invece, deve puntare solo su alcuni canali.
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